di Salvo Barbagallo
C’è bisogno di un “nemico” da affrontare per ricordarsi che si esiste? Forse. L’interrogativo si pone puntualmente quando cadono determinate “ricorrenze” e si finisce inevitabilmente con risvegliare un “odio” che oggi non dovrebbe più avere ragione d’essere. Anche in questo tragico tempo che vede imperversare una pandemia dalle origine “sconosciute”, si vuole rimandare indietro un cammino che la sua meta ha già raggiunto da decenni: non crediamo che sia la volontà di conservare una “memoria” necessaria per consolidare quei “principi” per i quali molti, moltissimi hanno lottato e molti, moltissimi hanno dato la loro vita per vederli realizzati. La “memoria” non si risveglia una volta l’anno, nel giorno di una “ricorrenza”, tenuto conto, fra l’altro, che si è fatto di tutto per cancellarla la memoria e, spesso, per mistificarla.
Scrivere, riscrivere, riproporre? Può darsi che sia utile, è probabile che non serva a nulla: questi lunghi mesi nei quali è imperversato e continua a colpire il Coronavirus, rimane la certezza della confusione e della paura. Le “parole d’ordine” sono “distanziamento sociale”, “coprifuoco”, “zone multicolori” per indicare la pericolosità dei territori e di chi li abita. Parole che devono o dovrebbero trasformarsi in “fatti” esecutivi in nome del “benessere” dell’intera collettività. E magari è così, ma molte cose non tornano.
Oggi, giorno nel quale si festeggia la “Liberazione”, il ritorno alla “Libertà” dopo una nefasta dittatura, si rammenta che il Paese è risorto dopo il sacrificio di tante vite umane. E’ giusto il “remember”, qualora i valori della Democrazia conquistata con il sangue di vincitori e vinti venisse rispettata, così come dovrebbero essere rispettate tutte le norme della Costituzione Italiana. Così non è, come si può constatare quotidianamente.
Oggi 25 aprile 2021: continuare a scrivere? Basta riproporre quanto detto un anno addietro, proprio in questa giornata di “festeggiamenti”: Opposte parti politiche quando c’è l’occasione utile si rinfacciano di “alimentare l’odio”: nell’attimo stesso in cui si attribuisce questa responsabilità a questo o a quello l’odio già scorre. L’odio scorre così tanto in piena libertà che tutti dovremo chiederci il “perché” e se l’alimentarlo, alla fine, fa comodo. A pochi? A molti? Non lo sappiamo, ma il dubbio resta. In un periodo in cui la pandemia continua a mietere vittime dovrebbero affiorare sentimenti positivi e invece si va a sbattere costantemente nei consueti e noti “luoghi comuni” che scaturiscono da palesi strumentalizzazioni ammantate da (pseudo?) colori politici. Il “fascino” delle ricorrenze che possono tornare utili continua fare presa anche in momenti in cui, al contrario, si dovrebbero mettere in luce i sacrifici attuali, i sacrifici di coloro che per la collettività hanno dato e stanno spendendo la loro vita: medici, infermieri, appartenenti alle forze dell’ordine, quanti sono stati e sono in prima linea nella guerra al Coronavirus. Giusto non dimenticare quanti hanno combattuto e dato la loro vita per un’Italia “nuova” e “democratica”, ma paradossalmente (e i numeri, purtroppo, lo confermano) sono quegli “anziani” superstiti che quella guerra hanno combattuto che in questa guerra sono morti e stanno morendo. Festeggiare oggi ci sembra non solo inopportuno ma scandaloso, e quel volerci ripetere (per rassicurarci?) “tutto andrà bene” lo riteniamo altrettanto inopportuno in quanto ci appare oltraggioso per le migliaia di esseri umani già stroncati dal terribile morbo.
Da più parti e in più occasioni si è ripetuto il ritornello “Siamo in guerra”. Certo, c’è la guerra per sconfiggere il mortale virus ma, cosa più che curiosa”, nonostante che siano trascorsi oltre quindici mesi, la “natura”, la vera “origine” del Covid si sconosce. Dall’altra parte vengono poste in luce le “variante” che sembrano apparire “a comando”, quasi a voler dimostrare che il “virus” è imbattibile. La scienza è impotente, oppure è una lotta fra multinazionali per “vaccini a rate” da somministrare non stop nel tempo? L’interrogativo non può e non deve avere risposta.
Ma oggi è il “25 Aprile”: bisogna festeggiare il ritorno alla Democrazia! Scarichiamo anche le “responsabilità” per quanti muoiono in mare nel tentativo di raggiungere le coste nazionali, ci dimentichiamo del terrorismo jihadista perché in Italia non ha fatto vittime, non ci poniamo domande su quanto accade nell’altra sponda del Mediterraneo. A fronte di un futuro incerto occorrerebbero azioni esemplari, non certo aprire agli ergastolani le carceri e lasciare campo libero a chicchessia in nome di (false) solidarietà. O in nome, soprattutto, dell’intera collettività che è tornata ad “obbedire per il bene comune”. Forse il Coronavirus ha distrutto anche il buon senso, e non c’è “25 Aprile” che tenga: un anniversario sul quale abbiamo espressa la nostra opinione ad ogni ricorrenza su questo giornale. L’Italia “vecchia” continua a vivere di odio, rancori e reminiscenze che l’Italia “giovane” sconosce e che “rivive” quasi esclusivamente attraverso “memorie” di parte.
Nelle indifferenze e nelle “paure” generali si fa avanti la convinzione che un “nemico” c’è veramente. Il problema è che non si riesce a identificarlo. Se si enuncia il concetto che c’è chi si sta adoperando per realizzare un “Nuovo Ordine Mondiale”, c’è la certezza di essere segnalati come “fans” delle teorie complottiste.
Forse sarebbe opportuno in questa giornata andare a (ri)scoprire le origini della Resistenza, comprendere perché è nata la Resistenza e saperne (ri)cogliere i reali significati. Oggi, più che 76 anni addietro, c’è bisogno di “Democrazia” e non di sentire declamare pistolotti su ciò che è stato. Ma forse una “nuova” Resistenza avrebbe “valori” “nuovi”, quelli di superare gli inizi di un Terzo Millennio che si porta dietro retaggi che storicamente presentano lati controversi e che continuano ad alimentare odio.